San Leone Magno

San Leone Magno, chiesa cimiteriale

San Leone

La chiesetta di San Leone è inglobata nel vecchio cimitero costruito nel 1880 attorno ad essa. Le prime documentazioni scritte sulla costruzione risalgono al ‘200 e si tratta di due atti: il primo è del 1218 ed è la conferma del possesso dei beni del Monastero di S. Paolo, firmata da Papa Onoro III: tra i beni citati c’è anche: “EccJesiam Sanctì Leonis de Liprignano, cum suis pertinentis”: (la chiesa di S. Leone da Leprignano con i suoi annessi).

Il secondo documento è del 1259 ed è un atto giuridico in cui viene citato come testimone un “Presbiter Cinctius Sancti Leonis de Liprignano”. Queste documentazioni, pur essendo le più antiche, non sono però sufficienti a darci la data della costruzione dell’edificio, che risale certamente a un periodo precedente. La dedica a S. Leone si riferisce a S. Leone Magno, il papa che nel V sec. fermò l’invasione di Attila e dei suoi Unni, contro Roma.

L’edificio probabilmente sorse su un precedente impianto, forse un tempio, di epoca romana, come accade per le più antiche chiese medioevali. L’aspetto attuale della chiesa è dovuto ai recenti restauri che hanno ripristinato l’aspetto originale, demolendo la sacrestia, che era stata ricavata all’interno.

La chiesa ha sulla facciata una porta rettangolare, con una cornice di pietra bianca del luogo, lavorata con fregi a croce greca in rilievo. Sulle pareti laterali si notano alcune finestre ad arco rotondo con transenne sempre in pietra locale e nella parete posteriore c’è un’abside costruita con tufetti del XIII sec. La costruzione ha due navate divise da arcate di larghezza diversa.

Alcuni elementi costruttivi attribuiscono la chiesetta all’VIII-IX sec. d.C.

Con la costruzione del cimitero, il livello del terreno fu abbassato, per cui vennero portate alla luce le fondazioni della chiesa e si dovette costruire una scala per accedere all’edificio. La chiesa, oltre ad avere la particolarità – cosa rara e singolare – di essere divisa in due navate, ha all’interno un recinto presbiterale (iconostasi) che taglia trasversalmente tutta la navata con l’abside. Questo è uno dei pochissimi esempi di iconostasi dei primi secoli del Medioevo, rimasta intatta e nel luogo originale e si presenta con un particolare architettonico assai interessante: la fusione dell’elemento a cancellata, derivante dalla recinzione, usata fin dall’epoca romana e alta solo un metro (in legno o un semplice muretto a trafori), usata nelle case e negli edifici pubblici per isolare la zona dedicata agli dei, e la trabeazione, sostenuta da pilastri o colonne, con l’archetto a sesto rialzato. È tutta lavorata a bassorilievo: il motivo fondamentale è la treccia, usata in varie figure geometriche. Il tema iconografico della trabeazione con archetto sottolineava l’alta dignità imperiale. Per quanto riguarda la decorazione, molto diffusa nell’VIII-IX sec. d.C., il confronto più significativo lo si ha con i frammenti marmorei del Monastero del Monte Soratte.

Nella chiesa si possono ancora ammirare numerosi affreschi. Quelli nella zona absidata sono i più antichi: alcuni, come i frammenti nella parete attigua all’ingresso e una figura dell’abside risalgono addirittura al 1000. Gli altri furono eseguiti forse nella stessa epoca ma ciò che oggi vediamo è il risultato di restauri eseguiti nel primo Rinascimento.

I dipinti della volta dell’abside sono sormontati da una cornice con motivi a trecce e al centro dall’Agnus Dei. I personaggi rappresentati sono: al centro il Redentore Benedicente, con un’iconografia molto arcaica. Alla sua destra ci sono S. Paolo e S. Scolastica, alla sua sinistra, S. Pietro e S. Leone Magno. Ai lati della volta ci sono due scene sacre: a sinistra un’Annunciazione, a destra due Santi di cui non è certa l’identificazione. Sotto la volta, ai fianchi della finestrella dell’abside, in quattro riquadri metopali, divisi tra loro dalla stessa cornice a intreccio, si notano da sinistra S. Giovanni Battista; una Santa recante un’ampolla e un rotolo di bende: forse è la Maddalena; a destra, subito dopo la finestra, ci sono S. Luca e l’Arcangelo S. Michele. Ai lati delle quattro metope, in altri riquadri, si ammirano a sinistra S. Liberato – come avverte l’epigrafe sottostante – e, in una posizione più in basso rispetto al primo, il dipinto datato al X sec., di una donna, forse un’imperatrice bizantina, considerata Santa. 

A destra, ci sono un G. Giuliano molto rovinato e una Madonna che allatta il Bambino. All’entrata, sempre nella stanza absidata, si notano alcuni frammenti di dipinti del X sec. d.C.: il primo raffigurante una Madonna con Bambino, e l’altro un motivo geometrico. Nell’altra navata, c’è un affresco che occupa tutta una parete ed ha al centro la Vergine con il Bambino: alla sua estrema destra, ormai quasi cancellato, c’è un personaggio che recava un giglio: forse San Giuseppe, poi si nota benissimo S. Paolo. A sinistra S. Leone e un altro personaggio in veste ecclesiastica non identificabile. Tutto il complesso degli affreschi fu commissionato da una certa Suffia, come attesta un’iscrizione posta nella volta dell’abside ai piedi del Redentore, con caratteri del XIV sec.: “Queste peture a facte fare Suffia”.